La normativa europea definisce il principio di pari opportunità come l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo per ragioni connesse al genere, religione e convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età, orientamento sessuale. La discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali è proibita in tutta la Comunità europea poiché può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del trattato CE, in particolare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale, la solidarietà e la libera circolazione delle persone.
Le pari opportunità in generale
Oltre a quelle che vedono quale primo attore le donne, come genere a cui il principio di pari opportunità, si è inizialmente applicato, lo stesso si è esteso nel tempo ad altre forme di discriminazione, sia sessista che di altro genere. Nell'ambito delle discriminazioni sessiste, si segnala la battaglia sociale delle associazioni di genitori separati che vede in questo caso ad essere discriminati i genitori di sesso maschile e che ha portato alla definizione del principio di bigenitorialità prima e all'affido condiviso in seguito. Altre forme di discriminazione che rientrano sotto un principio di pari dignità e opportunità riguarda i disabili e in generale ogni forma di discriminazione basata sull'età, sull'etnia, sulla fede, che nega per principio a una categoria di persone quei diritti che sono garantiti a tutte le altre, soprattutto nel campo del lavoro e della giustizia.
Normativa comunitaria
Sin dalla sua creazione la Comunità europea ha riconosciuto il principio della parità di retribuzione e, su questa base, ha sviluppato un insieme coerente di leggi mirate a garantire pari diritti in materia di accesso all’occupazione, di formazione professionale, di condizioni di lavoro e, in ampia misura, in materia di protezione sociale. Già nel 1957, l’art. 119 dei Trattati sostitutivi della Comunità europea definisce il principio di parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e femminile per uno stesso lavoro ma tale articolo rimase tuttavia sostanzialmente relegato a un’affermazione formale. La svolta arrivò nel momento in cui, proprio dal 1975, la Comunità Europea, iniziò ad emanare le prime direttive in materia di parità di retribuzione e di trattamento e in particolare la Direttiva 75/117/CEE del Consiglio del 10/02/1975 per il ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile. Le direttive successive del 1976 - Direttiva 76/207/CEE del Consiglio del 09/02/1976 relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro - del 1978 - Direttiva 79/7/CEE del Consiglio del 19/12/1978 - e del 1986 - Direttiva 86/378/CEE del Consiglio del 24/07/1986 relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale e Direttiva 86/613/CEE del Consiglio del 11/12/1986 relativa all'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma, ivi comprese le attività nel settore agricolo, e relativa altresì alla tutela della maternità - ampliano ulteriormente lo schema concettuale e legislativo: al concetto di parità di retribuzione si affianca quello di parità di trattamento per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro; la parità di trattamento implica l’assenza di discriminazioni dirette e indirette fondate sul sesso in riferimento soprattutto allo stato matrimoniale e familiare Nel 1984 con la Raccomandazione del Consiglio delle Comunità Europee n. 635 del 13 dicembre 1984 sulla promozione di azioni positive a favore delle donne, le azioni positive diventano lo strumento operativo della politica europea per promuovere la partecipazione delle donne a tutti i livelli ed in tutti i settori dell’attività lavorativa. Le azioni positive possono essere classificate in azioni di natura promozionale, cioè volte al superamento di posizioni di svantaggio delle donne nel mondo del lavoro, e di natura risarcitoria, che propongono soluzioni alle discriminazioni in atto, con particolare riferimento alle retribuzioni o alla carriera. Le azioni positive hanno lo scopo di:
Con la Raccomandazione 87/567/CEE della Commissione del 24/11/1987 sulla formazione professionale delle donne si raccomanda agli Stati membri di seguire una politica intesa a favorire la partecipazione delle donne giovani ed adulte alle azioni di formazione, specie a quelle connesse con le professioni del futuro ed a sviluppare misure specifiche, soprattutto per quanto riguarda la formazione per professioni nelle quali le donne sono sottorappresentate. Nel 1989 è stata adottata dal Parlamento Europeo la Carta Comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori con la quale viene ribadita la necessità di combattere ogni forma di discriminazione basata sul sesso.
(Wikipedia)