Durante il periodo di maternità e fino al compimento del primo anno di età del bambino la lavoratrice madre ha alcuni diritti di legge aggiuntivi, ad esempio non può essere licenziata
La legge prevede che le dimissioni volontarie della lavoratrice durante il periodo in cui vige il divieto di licenziamento debbano necessariamente prevedere la convalida da parte della Direzione Provinciale del Lavoro
Sono inoltre vietati trasferimenti ad altre unità produttive (salvo vi sia una espressa rinuncia della lavoratrice) fino al compimento del primo anno di vita del bambino.
E ancora: per evitare abusi da parte dei datori di lavoro che potrebbero indurre forzatamente una dipendente in maternità a dimettersi, la legge prevede che le dimissioni volontarie della lavoratrice durante il periodo in cui vige il divieto di licenziamento debbano necessariamente prevedere la convalida da parte della Direzione Provinciale del Lavoro. Solamente questa convalida, atta ad accertare la vera volontà della lavoratrice, renderà operative le dimissioni.
Infine, l’articolo 55 del decreto 151, presumendo che le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice in questo periodo siano dovute a esigenze familiari e pertanto legate a uno stato di bisogno, prevede la possibilità per la stessa non solo di non dare il normale preavviso contrattuale, ma anche di ottenere dal datore di lavoro il pagamento dell’indennità di mancato preavviso prevista per i casi di licenziamento.
Al termine del periodo di congedo previsto dalla legge, la lavoratrice ha il diritto di rientrare al lavoro prendendo possesso del posto precedentemente occupato. Sono pertanto vietati trasferimenti ad altre unità produttive (salvo vi sia una espressa rinuncia della lavoratrice) fino al compimento del primo anno di vita del bambino. Allo stesso modo, la lavoratrice dovrà essere adibita alle mansioni svolte precedentemente alla gravidanza o a mansioni comunque equivalenti.
In buona sostanza, il licenziamento che trovi la sua reale motivazione nello stato di maternità della lavoratrice deve essere dichiarato nullo perché discriminatorio.
Tutto quello che accade dopo il compimento del primo anno di età del bambino è, purtroppo, legittimo.