Solitamente prima di comunicare la propria gravidanza al datore di lavoro si attende il terzo mese, questo perché durante il primo trimestre, si verifica la più alta percentuale di aborti naturali. In questo modo, in caso di interruzione, si eviterà di trovarsi nella spiacevole situazione di dover comunicare a persone estranee un evento così traumatico e molto personale. D’altra parte la legge non prevede un termine minimo di preavviso.
E’ consigliabile informare il datore di lavoro in tempo utile, così da consentirgli di far fronte all’assenza della lavoratrice incinta, nel periodo di astensione obbligatoria e/o facoltativa. La comunicazione che può essere fatta anche scritta con raccomandata con ricevuta di ritorno, che è da preferire a quella verbale.
Le future mamme dovranno ricordarsi che, nei periodi in cui saranno costrette a casa, sarà il sistema previdenziale a pagare lo stipendio. Non è quindi il caso di sentirsi in colpa!!
Ci sono situazioni lavorative rischiose che obbligano la dipendente a comunicare al proprio datore di lavoro la gravidanza appena se ne viene a conoscenza, per evitare che ci possano essere rischi duranti i primi mesi di gestazione, che sappiamo essere molto delicati.
Il periodo di maternità è disciplinato dal codice civile nel libro riguardante i rapporti di lavoro subordinato. L’articolo 2110 del codice chiarisce prima di tutto che in caso di gravidanza, se le norme di legge non stabiliscono forme di previdenza o di assistenza, è dovuta comunque alla lavoratrice la retribuzione o un’indennità sostitutiva per il periodo di assenza.
L’inizio della gravidanza per legge è individuato 300 giorni prima della data presunta del parto.
Il periodo di assenza relativa all’astensione obbligatoria viene computato nell’anzianità di servizio.
Lo stato di gravidanza comporta diritti e doveri per entrambe le parti, pertanto la lavoratrice ha diritto al mantenimento del posto di lavoro, che ha inizio della gestazione al compimento del primo anno di età del piccolo.
Nel periodo di gestazione fino al settimo mese dopo il parto, è vietato adibire le lavoratrici a mansioni pesanti e pericolose. Se le condizioni sono ritenute rischiose per la madre e il bambino, il servizio ispettivo può disporre l’interdizione anticipata. Esistono situazioni dove la futura mamma può continuare a lavorare, assegnandole altre mansioni, anche inferiori, purché mantenga inalterata la retribuzione.
Il datore di lavoro non può licenziare la lavoratrice in gravidanza, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo ne sia a conoscenza oppure no, ma nel caso in cui non lo sia, la dipendente deve darne subito comunicazione.
Se la lavoratrice decide di dare le proprie dimissioni, dovranno essere approvate dalla Direzione Provinciale del Lavoro competente, ed il datore di Lavoro sarà obbligato a corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso.
In questo caso il legislatore vuole tutelare la lavoratrice, in quanto potrebbero essere dimissioni “obbligate” dal datore di lavoro, motivo per cui il Ministero del Lavoro ha emanato una circolare in cui chiede ai servizi ispettivi di predisporre un colloquio con la lavoratrice dimissionaria, per accertare la sua reale volontà alla risoluzione del rapporto di lavoro.
Le collaboratrici domestiche, a differenza delle dipendenti di aziende private, non godono del divieto di licenziamento e percepiscono l’indennità direttamente dall’INPS.
Barbara Osca
Consulente del Lavoro