Oggi avrei dovuto scrivere un post leggero e senza nessuna pretesa. Avrei dovuto raccontarvi di come vivono i Parigini, dei loro modi di fare, di dire, di divertirsi e di amare. Avrei dovuto descrivervelo in chiave ironica e spensierata.
Avrei dovuto.
Ma dopo venerdì notte, non posso più. O, almeno, non ancora.
Ci vuole tempo per digerire il male. Tempo per capire come cambieranno le nostre vite da venerdì in avanti. Tempo anche per studiare le reazioni di chi ci circonda.
Ed é proprio di queste che oggi vorrei parlarvi.
Della reazione dei Parigini a tutto questo dolore e shock. Di come vivono, dei loro modi di fare, di divertirsi, di amare, di soffrire e di rialzarsi, dopo venerdì notte.
E’ forse proprio questo che mi ha sempre affascinato terribilmente di questa città e dei suoi abitanti: la dignità, l’orgoglio, la solidarietà e il coraggio che sono capaci di tirar fuori nel momento del bisogno.
La dignità: sono le parole pacate e speranzose di tutti quei giovani usciti per miracolo indenni dal Bataclan o dalle terrazze dei caffè colpiti dalla furia cieca degli attentatori. I “non rinunceremo a vivere come prima e più di prima” ripetuti a oltranza per le strade, alla radio, in televisione. I volti tristi ma fieri che incrocio per strada; la cartella dei bambini sulle spalle e quelle gambette fragili che si avviano come sempre verso scuola.
L’orgoglio: di essere Parigini, e ancor più, di essere Francesi. Di vivere in una terra libera, democratica e civile. Di abitare nella più bella città del mondo. E di non volervi rinunciare a nessun costo.
La solidarietà: sono le “portes ouvertes” delle case parigine nella lunga notte del terrore. L’accoglienza corsa sui social network offerta a tutti coloro che, feriti o soltanto impauriti, non potevano fare rientro a casa. Sono quegli incontri di sguardi che ci si scambia fra perfetti sconosciuti che si incrociano per strada. Sono le catene di messaggi per vedere se tutti stanno bene. Sono le note di “Imagine” uscite da quel pianoforte trascinato in bicicletta da un generoso pianista davanti al Bataclan.
E il coraggio, di tutti quelli che, nonostante la raccomandazione del Governo di stare nelle proprie case, sono andati ad accendere una candela in Place de La Republique. Di chi, la sera dopo gli attentati, sedeva “tranquillo” nelle terrazze dei café e riempiva le strade, come prima e più di prima. Sono i soldati che hanno fatto irruzione, rischiando la vita per la nostra libertà. Sono i ragazzi restati chiusi per ore nelle cabine tecniche del Bataclan, nascosti e in silenzio, aspettando che l’incubo finisse. Siamo tutte noi mamme e tutti i papà, italiani a Parigi che, nonostante tutto, portiamo i nostri bambini a scuola, andiamo a fare la spesa, prendiamo la metro e continuiamo a vivere ed amare ancora più profondamente questa meravigliosa città ferita.
Ferita si’, ma non ferita a morte.
E’ la Tour Eiffel a dircelo ogni sera quando, maestosa e fiera, illumina la sua città. Non scintilla allo scoccare delle ore per quei cinque minuti di spettacolo offerto ogni sera ai bambini e a tutti i suoi Parigini. No, quello no, non per qualche giorno. E’ ferita, non può scintillare. Ma illuminare la città quello si’, quello deve farlo. Perché la vita va avanti, come prima e più di prima.
Alessandra Ferrario (Mamma a Parigi)
Complimenti al l’autrice dell’articolo. Anche chi è lontano dalla descrizione riesce ad immedesimar si nel clima che si respira a Parigi in questi giorni di tristezza e lutto.